Tre rigori contro, tre rigori parati, in più da due portieri diversi. Fortuna o preparazione? Lo abbiamo chiesto a Massimo Di Pasquale, allenatore dei portieri Granata.
“La fortuna non c’entra niente. I ragazzi lavorano tanto sia dentro che fuori dal campo. Studiamo attentamente gli avversari proprio per non affidarci al caso il giorno della partita. Parare i rigori non è una cosa innata ma necessita di tanto lavoro durante la settimana per farsi trovare pronti il giorno del match.
Ogni portiere poi sviluppa un suo metodo personale, c’è chi gioca sulla stazza fisica, come il caso di Angeletti, o chi punta sull’aspetto psicologico come fa Sposito. Alla base comunque c’è tanto lavoro e analisi delle partite”.
Oltre all’aspetto dei rigori ci sono anche i calci piazzati e molti altri dettagli da curare. Come preparate le partite?
“Studiando gli avversari, analizzando le partite e lavorando di conseguenza. Poi chiaramente gli allenamenti servono anche per migliorare gli aspetti generali. Non scordiamoci che questi ragazzi sono molto giovani e ricoprono un ruolo che nella maggior parte dei casi trova la piena maturità attorno ai 26-27 anni”.
Nelle prime partite Sposito è incappato in qualche incertezza, poi l’episodio del rigore parato lo ha rivitalizzato, come avete affrontato quel periodo iniziale?
“Lui è sempre stato tranquillo. Io ho un rapporto molto schietto con il gruppo portieri e mi sono confrontato con Alex per capire se ci fossero delle difficoltà. Non voglio dire cosa ci siamo detti ma è stato molto sincero con me, si è confidato e questo l’ho apprezzato molto. Non ha mai avuto bisogno di lavorare sulla testa perchè è un ragazzo che è dovuto necessariamente crescere in fretta, affrontando stagioni in piazze molto calde come Taranto e Campobasso che, anche se militano in Serie D, ti mettono molta pressione addosso, sia in campo che a livello di spogliatoio, soprattutto se sei un giovane. Lui sa che non era scarso prima e che non è un fenomeno ora, sa che bisogna continuare a lavorare senza farsi condizionare e devo dire che ha risposto sul campo con i fatti”.
Allenare un gruppo di quattro giocatori permette di creare legami diversi rispetto a un mister che ha a che fare con una ventina di giocatori?
“E’ sicuramente diverso, essendo un gruppo più piccolo ho la possibilità di parlare spesso singolarmente con ognuno di loro e quindi si crea un legame particolare, anche se deve esserci sempre quel giusto distacco tra allenatore e giocatore. Tanto dipende poi dal carattere delle persone con cui lavori. Colgo l’occasione per menzionare anche Nicoli e Santarelli, due ragazzi che si impegnano al massimo in ogni allenamento. A tutti loro io cerco di trasmettere la fame e la voglia di migliorarsi che è fondamentale se si hanno certi tipi di ambizioni”.
Questo è il secondo anno che allena Angeletti. Cosa pensa del suo percorso fino a qui?
“E’ un ragazzo che ha caratteristiche importanti, soprattutto nell’uno contro uno. E’ migliorato molto rispetto allo scorso anno ed ero sicuro che si facesse trovare pronto quando è stato chiamato in causa”.